Azerbaigian: la vita oltre la guerra, l’esempio del distretto di Tartar
Baku, 14 apr 15:00 - (Agenzia Nova) - Il distretto azerbaigiano di Tartar, nei pressi della linea di contatto con l’area occupata dall’Armenia, è un esempio di come si può continuare a vivere anche in una zona di guerra. “Agenzia Nova” ha potuto visitare la regione nell’ultimo giorno di missione in Azerbaigian e ha avuto modo di incontrare le autorità locali, ma soprattutto la popolazione civile. Molte di queste persone vivono a meno di 200 metri dalla linea di contatto tra l’esercito dell’Azerbaigian e quello dell’Armenia, in zone al momento sicure dopo i gravi fatti dell’aprile del 2016, da molti osservatori definiti “la guerra dei quattro giorni” o “seconda guerra del Nagorno-Karabakh”. Sicuramente si tratta della più pesante recrudescenza del conflitto dall’accordo di cessate il fuoco raggiunto a metà degli anni Novanta, dopo le operazioni militari che hanno portato all’occupazione della regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh e di altri 7 distretti dell’Azerbaigian da parte dell’esercito dell’Armenia, che ancora continua.
Mustagim Mammadov, il capo esecutivo dell’amministrazione di Tartar, in quei giorni era già in carica e ricorda come un colpo di mortaio sia caduto a pochi metri dall’edificio che funge da sede all’amministrazione locale. “Sono stato nominato quattro anni fa dal presidente Ilham Aliyev”, spiega Mammadov, sottolineando che l’ufficio ora si trova a circa quattro chilometri dalla linea di contatto ma nel 2016, prima che l’Azerbaigian liberasse parte dei territori occupati nel corso della sopracitata recrudescenza del conflitto, la linea di contatto era molto più vicina. “La città dove ha sede l’amministrazione del distretto ora è sicura, ma in prossimità della linea di contatto dei cecchini armeni sparano ai nostri camion per mantenere alta la tensione”, ha spiegato.
Il distretto, tuttavia, rappresenta quanto di più lontano ci possa essere da una zona di guerra. Nell’area c’è una florida attività agricola basata su alcuni elementi principali: il cotone; il tè; la camomilla; le fragole; e le ciliegie. Si tratta di prodotti interamente biologici e le uniche fabbriche presenti nei dintorni si occupano della lavorazione. Il governo centrale di Baku dai fatti del 2016 ha investito molto per ripristinare la situazione alla normalità e gli effetti si vedono: “Nel 2017 abbiamo ricavato circa 6,1 milioni di dollari dal settore agricolo”, spiega Mammadov. La produttività agricola, oltre a essere una peculiarità del distretto, è una questione non banale visto che, secondo quanto riferito dalle autorità, dal lato armeno sono stati bloccati i corsi d’acqua e quindi è stato necessario costruire delle strumentazioni apposite per garantire l’irrigazione dei campi.
Secondo quanto raccontato dal capo dell’amministrazione, “circa 130 mila persone vivono nel distretto di Tartar e il tasso demografico è in crescita”. Molto dipende anche dagli investimenti governativi per la ricostruzione dei villaggi distrutti durante il conflitto. Nel corso della visita è stato infatti possibile visitare il villaggio di Gapanli e altre aree molto più vicine alla linea di contatto. Qui è visibile l’intervento del governo centrale che ha costruito in pochissimo tempo e praticamente dal 0a interi villaggi, con oltre alle abitazioni, scuole, asili, aree di pronto soccorso e persino un istituto musicale. Parlando con i residenti locali, la sensazione è che loro vogliano continuare a restare in questi luoghi, considerati la loro casa nonostante le tante difficoltà determinate dal vivere in un’area di guerra.